Si parla spesso, anzi spessissimo, dell’importanza di “socializzare” il cucciolo: ma forse non tutti hanno esattamente presente cosa si intenda.
Il concetto è molto semplice: il cucciolo deve imparare a conoscere e a considerare normale – e quindi da non temere – tutto ciò che fa parte della società umana: persone estranee, altri cani come lui, cani diversi da lui (la distinzione è importante, perché se il cucciolo non vede cani di razza/tipologia diversa a volte non li riconosce come tali!), bambini (importantissimi!) e così via.
Fanno parte del processo di socializzazione anche gli incontri con oggetti inanimati, che però a lui possono sembrare animati (e pericolosi), come le automobili o le moto.
Non basta, però, prendere il cuccioletto e gettarlo “allo sbaraglio” in mezzo a una marea di stimoli nuovi: anzi, questo potrebbe essere controproducente, specie se per un qualsiasi motivo uno di questi stimoli gli portasse un’esperienza negativa.
Il cucciolo, dall’ottava alla dodicesima settimana di vita (questo è il periodo più importante per la socializzazione) è una vera e propria spugna che assorbe tutte le esperienze e le cataloga con grande rigore, dividendole in “buone” e “cattive” e facendosene un’idea che resterà immutata, o quasi, per tutta la vita. Se qualcosa lo turba o lo spaventa in questo periodo sarà un grosso problema fargli cambiare idea in seguito: non dico che sia impossibile, ma è sicuramente difficile e comporta un lavoro non da poco.
Viceversa, se riusciamo a fargli “scrivere sulla lavagna dei buoni” tutto ciò che desideriamo accolga con serenità ed equilibrio, anche eventuali esperienze negative o addirittura traumatiche che dovessero arrivare in seguito potrebbero essere superate con una certa facilità.
Ovviamente dipende dall’intensità del trauma: ma sarà sempre più facile rimediare ad un problema nato dopo i tre mesi di vita che ad uno nato nel periodo della socializzazione.
Questo è il motivo per cui le primissime esperienze di socializzazione, in realtà, dovrebbero sempre essere:
a) programmate accuratamente, scegliendo persone, cani, luoghi eccetera;
b) gestite dall’allevatore (che non va inteso come “allevatore con affisso ENCI”, ma come “proprietario della mamma dei cuccioli”: anche se si tratta di un privato, socializzare i piccoli è compito suo e dovrebbe sempre pensarci lui).
Innanzitutto, primo viaggio in macchina: che potrebbe essere anche molto sgradevole per un cucciolo che non sa cosa stia succedendo.
Perché mi chiudono in gabbia? Aiuto! Cos’è questo rumore? E adesso che succede? Qui si muove tutto!
Il mal d’auto, si sa, è un problema legato all’apparato vestibolare (orecchio interno), che è quello deputato alla rilevazione dei movimenti del corpo e al controllo dell’equilibrio. Se la sollecitazione di questa strutture è troppo veloce o troppo intensa, appare la cinetosi (appunto il mal d’auto): ma in realtà moltissimo dipende da come la sollecitazione viene percepita a livello psicologico.
Se l’auto si sposta velocemente in avanti, l’orecchio interno viene sollecitato: ma se il soggetto contemporaneamente pensa “oddio, che succede?” e si spaventa, l’effetto sarà moltiplicato per dieci. Se invece il soggetto pensa “toh, ci muoviamo…ma non c’è motivo di preoccuparsi”, l’orecchio interno si adatta pian piano alla nuova situazione e la cinetosi non compare.
Ecco perché un primo viaggio fatto in compagnia della mamma (che trasmette serenità e indifferenza al movimento) e dei fratellini (che distraggono dal pensiero dello stesso movimento) aiuta i cuccioli ad abituarsi ai movimenti dell’auto senza traumi e quindi ad evitare un futuro cane che “soffre la macchina”. Non solo: se il primo viaggio ha una destinazione piacevole, ovvero coincide con una bellissima esperienza, la prossima volta che viene invitato a salirvi il cucciolo ne sarà felicissimo, perché penserà “Che bello! Si viaggia verso una meravigliosa avventura!”. Pensate invece a tutti i cuccioli che salgono in auto per la prima volta per passare dall’allevamento alla casa della nuova famiglia (esperienza bellissima per noi, ma veramente traumatica per loro, che vengono strappati all’ambiente in cui sono nati e cresciuti per finire in un luogo sconosciuto, tra gente mai vista prima)…e che magari il viaggio successivo lo fanno per andare da un tizio in camice bianco che sta in brutto postaccio puzzolente e che, giusto per gradire, gli piazza un ago sotto la pelle.
C’è da stupirsi se il cucciolo abbina l’auto a una sorta di traghetto di Caronte, che lo porta sempre e solo in qualche nuovo inferno? E come dargli torto, se appena sale si mette a salivare, sbavare e magari anche a vomitare?
Tutt’altra cosa, invece, se il viaggio è fatto in compagnia della mamma e se porta in un posto bellissimo… che dev’essere assolutamente recintato, per evitare ogni rischio, e nel quale i cuccioli (o il singolo cucciolo) devono essere assolutamente LIBERI di fare quello che vogliono. Un campo di addestramento è ovviamente il terreno ideale: è recintato, è frequentato solo da cani ben conosciuti e sani, ha un fondo erboso e morbido sul quale si può correre senza farsi male.
Appena liberato il “branco”, la mamma – adulta e smaliziata – si lancerà sicuramente in una bella corsa liberatoria: e i cuccioli dietro! Grande divertimento, gioia totale, chi si preoccupa del fatto di essere in un ambiente sconosciuto? L’associazione che fanno i cuccioli è la seguente: il mondo fuori dall’ambiente in cui siamo nati e vissuti finora è un immenso parco-giochi tutto da godere!
Ovviamente, per il momento, ce lo godiamo a strettissimo contatto con la mamma: non si sa mai, eh. Chissà cosa potrebbe mai esserci dietro a tutti questi alberi…ma se lei esplora con sicurezza e serenità, noi facciamo la stessa cosa (purché ci sia sempre lei nelle vicinanze, a proteggerci in caso di bisogno).
Inutile specificare che, se si trattasse di un solo cucciolo che ha già lasciato la sua famiglia di origine, le veci della mamma dovrebbe farle l’umano: però non è la stessa cosa, perché i cuccioli capiscono al volo i segnali e la mimica corporea e facciale della cagna, mentre non possono recepire con altrettanta prontezza quelli di una specie completamente diversa (ovvero la nostra).
Si farà quel che si potrà… ma è evidente che la socializzazione fatta in famiglia è molto più efficiente (e veloce). Lo dimostra il fatto che i cuccioli, in questa prima fase esplorativa del “nuovo mondo”, siano accompagnati sia dalla mamma che dagli umani che li hanno portati lì…ma si vede chiaramente con chi preferiscono stare, anche se questi umani li conoscono perfettamente e hanno contatti con loro fin dal primo giorno di vita.
Finito il momento delle corse libere e sfrenate, si possono far entrare in gioco gli umani sconosciuti: “in gioco” inteso in senso iper-letterale, visto che sarà proprio questo che gli estranei dovranno fare!
Prima ci si farà annusare per benino, e poi si cominceranno a tirar fuori palline, salamotti e giochi di ogni genere (ovviamente di tipo e dimensioni adatti alla razza dei cuccioli).
Così i cuccioli penseranno che gli estranei sono persone carinissime, con cui si può interagire senza alcuna preoccupazione: anzi, sono ulteriori parchi giochi viventi!
La mamma in questa fase è passata in secondo piano: già tranquillizzati nei riguardi dell’ambiente, i piccoli hanno preso coraggio ed approcciano le novità con molta disinvoltura.
Ovviamente conoscono già gli esseri umani e si fidano già di alcuni di loro (quelli che li hanno allevati): ma un conto sono gli “zii” a due zampe che hanno sempre fatto parte del loro branco, e un altro sono gli umani sconosciuti.
L’ampliamento della fiducia agli estranei NON è automatico come qualcuno crede: va appunto creato con la socializzazione.
Un paio di umani diversi, in questa prima fase, è sufficiente: ma se sono tre o quattro è ancora meglio.
E’ poco utile, però, “replicare” più volte la stessa figura: meglio che siano persone diverse per sesso, età, tipo di corporatura eccetera.
Va benissimo se qualcuno porta gli occhiali, o ha la barba, o porta il cappello: quelli che per noi sono semplici particolari secondari possono fare invece una grande differenza per i cuccioli. Se avete avuto un cane che era buono con tutti, ma che abbaiava o ringhiava a suore, poliziotti, persone di colore e così via, capirete quello che intendo dire.
Ovviamente non è possibile presentare ai cuccioli un “parco completo” di tipologie umane: però è bene pensarci e gradualmente, man mano che il cucciolo crescerà (ma prima che sia uscito dalla fase di socializzazione) sarebbe davvero molto utile fargli incontrare – sempre in contesti allegri e giocosi – il maggior numero possibile di “personaggi” a due zampe (compresi suore e preti: i cani in chiesa non sono ben accetti, ma di sacerdoti che amano i cani è fortunatamente pieno il mondo, e se gli spiegate il vostro intento è facilissimo trovarne qualcuno che esca a fare due coccole al vostro cucciolo).
La cosa importantissima, fin dalle primissime uscite, è che i cuccioli vedano di BAMBINI, che li “capiscano” (ovvero che si rendano conto che sono piccoli umani, cosa NON affatto scontata) e che interagiscano con loro.
E’ fondamentale che si tratti di bambini educati con i cani e che, ovviamente, non ne abbiano paura: ma non devono neppure essere troppo “contenuti” con i cuccioli.
Ci giochino pure “da bambini”, correndo, facendoci la lotta e così via: i cani devono capire che i bambini sono piccoli umani e che, come tutti i piccoli, non hanno grandi freni inibitori. E’ evidente che gli umanini non dovranno fare del male ai cuccioli…ma se inavvertitamente ci scappa una pestata di zampa, l’importante è continuare a giocare. I cuccioli non vanno tenuti sotto una campana di vetro: di sicuro non ci si tengono neppure tra loro, anzi giocano pesantissimo… e a volte si fanno male, eccome. Però sono perfettamente in grado di capire quando sentono un piccolo dolore a causa di un “incidente di gioco” e non certo per volontà di colui – cane o umano che sia – con cui stanno giocando: quindi, dopo un attimo di perplessità (e magari un sonoro CAIN!) riprenderanno a giocare fiduciosi.
Gli umanini, dunque, dovranno giocare in libertà, dando loro solo le avvertenze-standard sulle cose che proprio NON vanno fatte, come sollevare i cuccioli per le zampe, infilare dita negli occhi e così via. Se ne deduce che dovranno essere bambini abbastanza grandi da poter capire: d’altro canto i bambini troppo piccoli NON possono essere lasciati in balia di una cucciolata, che terrorizzerebbe il pupo umano. Cinque-sei anni sono l’età ideale.
Dopo l’incontro con gli umanini (non necessariamente nello stesso giorno, ma magari in un’uscita successiva) è necessario quello con altri cani, che devono essere adulti EQUILIBRATI e ben conosciuti come tali, a loro volta ben socializzati e senza problemi di rapporti con i loro simili. Gli incontri vanno programmati con oculatezza, perché un’aggressione da parte di un altro cane in questo periodo così delicato, anche se non causasse vere tragedie dal punto di vista fisico, ne creerebbe sicuramente una a livello psicologico, rendendo i cuccioli diffidenti e paurosi verso i loro simili (e magari, da adulti, aggressivi).
Per i cani vale un po’ quanto detto per gli umani: meglio che siano numerosi e tutti diversi: maschi, femmine, adulti, anziani, grandi, piccoli, morfologicamente simili ai cuccioli o diversissimi dai cuccioli.
E’ vero che il cane è un animale ad orientamento olfattivo e che è in grado di riconoscere un suo simile dall’odore…ma prima deve volerlo annusare! Se decide che un altro cane è – a scelta – un nemico da combattere o una preda da uccidere, il cucciolo (divenuto adulto) potrebbe partire alla carica senza preoccuparsi di utilizzare l’olfatto per capire con chi ha a che fare.
Importantissimo, dunque, che i cuccioli imparino che esistono uomini, donne, bambini, cani grandi e cani piccoli, ma anche gatti, galline, cavalli, automobili e tutto ciò che potranno incontrare nel corso della loro vita futura, e che devono saper affrontare con equilibrio e serenità.
Questo non significa che questi cuccioli saranno, da adulti, “dei cani che fanno le feste anche ai ladri”.
Lo scopo della socializzazione non è quello di rendere il cane amico di tutti, a prescindere, bensì quello di non fargli aver paura di niente e di nessuno.
Ma è proprio SOLO la paura, che vogliamo evitare: quella che, insieme all’impulso predatorio, sta alla base della stragrande maggioranza degli attacchi canini immotivati.
I cani che mordono “a vanvera” (spesso con risultati devastanti, specie quando le vittime sono bambini) sono quasi sempre o cani che vanno in autodifesa, perché si sentono minacciati, o cani che hanno scambiato l’umano per una preda (persone che fanno jogging, bambini che scappano urlando, persone in bicicletta e così via). Insegnare al cucciolo tutto ciò che NON va considerato preda è il primo passo da fare: ma il secondo è quello di eliminare i casi di autodifesa immotivata, facendo capire al cane che è appunto immotivata.
La persona con l’ombrello, quella che va per funghi col bastone, il ragazzino che passa di corsa sbracciandosi…sono solo alcuni esempi di soggetti umani che possono spaventare il cane inducendolo a mordere: questo NON deve accadere e non accade, se il cucciolo è socializzato correttamente.
Ciò, però, non gli impedisce certo di sviluppare le sue capacità di difendere i suoi umani, o di sorvegliare il suo territorio: ma queste sono abilità che si sviluppano col tempo e che il cucciolo non può neppure conoscere.
Il cucciolo va socializzato perché non abbia paura: perché solo un adulto senza paura, in seguito, sarà in grado di ragionare a mente fredda sulle diverse situazioni, di non lasciarsi trasportare dagli istinti e, nel caso, di intervenire (con maggiore efficacia, perché non avrà alcun timore neppure nell’affrontare una situazione impegnativa).
Dimentichiamoci, dunque, la vecchia diceria secondo cui “il cane da guardia (o da difesa) non deve conoscere nessun altro che il padrone”.
Il cane ADULTO da guardia/difesa, ovviamente, non dovrà più giocare giorno e notte con tutti gli estranei del mondo, altrimenti potrebbe davvero entrare in confusione: ma il CUCCIOLO è un’altra cosa.
Dal cucciolo vogliamo che conosca, che scopra, che non tema la normalità delle cose: a questo, e non ad altro, serve la socializzazione.
Per tutto il resto (comprese le situazioni “non” normali)… c’è tempo.